giovedì 15 dicembre 2011

Psicologia Umanistica Esistenziale e Carl Rogers

In ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso costante teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche, una tendenza naturale alla crescita…".[1] C. Rogers


Iniziamo il nostro viaggio alla conoscenza di approcci, teorie e metodi del Counseling Pluralistico Integrato[2]...e partiamo da quello che considero la base del mio lavoro, la Psicologia Umanistico Esistenziale e  Carl Rogers.
La Psicologia Umanistica  si sviluppò in America  circa dagli anni ’60 e in Europa prese il nome di Psicologia Esistenziale. Fu un movimento in cui confluirono molte delle nuove scuole della psicologia tra cui quella rogersiana,  gestaltica, l’analisi bioenergetica e quella transazionale.
Fare una cornice culturale dettagliata della metà del secolo scorso non è semplice e non voglio in questa sede usare le righe di questo spazio per raccontarvi la storia della psicologia del ‘900.

Quello che vorrei trasmettervi invece è quanto questa corrente abbia portato profonde innovazioni alla cultura di quel tempo dove imperavano due grandi correnti: da un lato la psicanalisi Freudiana che si era “costruita” il proprio posto vicino alla psichiatria e alla neurologia per la cura dei disturbi mentali, portando i concetti di inconscio, interpretazione, pulsione, etc…

Dall’altro il comportamentismo che dichiarava con decisione come solo il comportamento esplicito potesse essere oggetto di osservazioni psicologiche scientifiche.

Ed è qui che entra la Psicologia Umanistico Esistenziale, ed entra come “terza forza”con le sue profonde innovazioni.

Cosa accomunava i diversi approcci di questa corrente? Cosa c’era di così innovativo?


Innanzitutto la centralità dell’essere umano che prende coscienza di sé: la persona viene vista come responsabile e consapevole delle sue scelte e del suo essere.
L’essere umano è consapevole sia della solitudine che gli è propria  nonostante il suo  carattere sociale, sia della morte che gli permette di percepire in modo intenso il senso e il valore della vita. Accettazione di sé e dell’altro e focus sul presente nel cosiddetto “qui ed ora” sono caratteristiche fondanti di tutti gli approcci di questa corrente.
Un’altra grande rivoluzione apportata fu l’utilizzo del gruppo nella terapia inteso come un gruppo esperienziale di incontro: è qui infatti che si attivano dinamiche di relazione diverse dal rapporto a due, che contribuiscono a consapevolizzare ulteriori aspetti di sé legati al rapporto io-mondo.


Ed ora incontriamo lui, Carl Rogers uno dei  maggiori esponenti di questa corrente.
Pubblicò nel 1951 “La terapia centrata sul cliente”, un testo fondamentale della psicologia moderna che aprì nuove porte all’approccio della relazione di cura e che detiene già nel titolo la prima grande innovazione: la terapia è centrata sul cliente…e non sul paziente...
Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti”

Niente più giudizi, certe interpretazioni, niente più osservazioni comportamentali che si distaccano dall’interiorità e dalle emozioni, niente più visioni meccanicistiche in cui l’uomo è visto come scatola vuota da riempire…

L’attenzione è rivolta alla persona che viene approcciata nella sua interezza, con la sua dignità e tutto il  potenziale latente di cui è portatore.

Ecco che quindi  l'autorealizzazione, la creatività e la capacità di compiere scelte diventano sia gli obiettivi sia gli strumenti della terapia, della relazione che si prende cura delle persone.

Lo stesso Rogers dà una definizione della relazione d’aiuto che è sicuramente rivoluzionaria  rispetto le precedenti visioni dell’approccio terapeutico: “…una relazione d’aiuto potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità d’espressione”.
Non ci trovate nulla di rivoluzionario?
La crescita personale può avvenire nel cliente quanto nell’operatore: nessuno prima aveva sottolineato in modo così preciso che un professionista competente e preparato che si mette in gioco nella relazione, può apprendere qualcosa che lo riguarda personalmente dalla relazione che mette in atto.


Ma procediamo per ordine…


Rogers è molto rigoroso definendo 6 condizioni necessarie e sufficienti per un’efficace relazione d’aiuto, cioè per una relazione che possa portare ad una modificazione positiva del problema portato dal cliente.
Prima di tutto la richiesta di aiuto da parte di chi ha bisogno: la prima “regola” è che il cliente sia volontariamente motivato al cambiamento e che si prenda la responsabilità di chiedere aiuto. Questo perché nella comunicazione, come nella relazione, la responsabilità di ciò che avviene è sempre condivisa.
In secondo luogo ci deve essere un contatto psicologico che si basi sulla fiducia e sulla possibilità di cambiamento: posso passare al cliente la speranza e l’ampliamento del punto di vista, attraverso la mia competenza professionale e il lavoro che come operatore faccio su di me.
E’ fondamentale poi che l’operatore, che può essere un counselor, uno psicologo, uno psicoterapeuta, sia caratterizzato da tre atteggiamenti fondamentali.
Innanzitutto la congruenza, intesa come l’accordo interiore tra l’esperienza che si fa e la coscienza di accogliere tutto ciò che si sente dentro quell’esperienza. Significa che l’operatore è genuino, reale, trasparente e utilizza le sue percezioni, intuizioni, visioni in condivisione con il cliente, alimentandone in questo modo la responsabilità, come anche l’autenticità…e ottimizzando così la qualità della relazione d’aiuto.
Altra caratteristica fondamentale è l’accettazione positiva incondizionata...del cliente per quello che è e di quello che porta nella relazione. Questo ovviamente presuppone che l’operatore abbia lo stesso sentimento di accettazione nei confronti di se stesso e che conosca e rispetti i propri limiti.
Ultima caratteristica dell’operatore è la comprensione empatica che rappresenta la capacità di riuscire ad entrare nel mondo dell’altro come se fosse il proprio, tenendo conto che non lo è: in altre parole, significa provare la qualità dell’emozione del cliente ma contemporaneamente avere un lucido distacco emotivo: ed è solo in questo modo che si può permettere al cliente di allargare il campo di visione sulla sua situazione.
In ultimo, ma non certo meno importante,  è la comunicazione attraverso  i feedback  di ciò che l’operatore osserva, sente, intuisce e quindi anche della sua accettazione positiva incondizionata e comprensione empatica. Il feed-back è cioè un “nutrimento” privo di giudizio e valutazione che torna indietro al cliente durante il colloquio, un nutrimento che si basa sulle competenze e sull’empatia dell’operatore e che consente di rafforzare le risorse e la consapevolezza del cliente.
Giunti al termine di questo excursus, vi saluto e vi do l’appuntamento alla prossima uscita de L’Edizione con l’augurio rogersiano di “…apprezzare un individuo nello stesso modo in cui si apprezza un tramonto.  Le persone sono altrettanto meravigliose quanto i tramonti, se io le lascio essere ciò che sono….”

Articolo pubblicato sulla rivista L'Edizione n° 14 edito da Edizioni Farnedi  di Cesena.










[1] Tutte le citazioni sono tratte da Rogers C. (1994), La terapia centrata sul cliente, Psycho, Firenze
[2] Vedi articolo precedente pubblicato su L’Edizione n. 13 pag. 40 .


Nessun commento:

Posta un commento